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domenica 10 aprile 2011

LE DONNE PROTAGONISTE DELLE I-REVOLUTIONS NEL MONDO ARABO

(Roma) Le rivolte popolari nel mondo arabo che stanno mettendo in crisi i presupposti autoritari e l’univocità della rappresentazione socio-mediatica della popolazione da parte di media governativi vedono il ruolo fondamentale dei nuovi strumenti di comunicazione  e di informazione. Le donne, da sempre considerate soggetti inferiori e incapaci di esprimere le proprie idee nei regimi musulmani, hanno fatto sentire alta la propria voce, mettendosi a capo di cortei, partecipando a manifestazioni di piazza, fronteggiando le forze militari e fornendo un apporto fondamentale alla documentazione e alla controinformazione mediante l’utilizzo dei media digitali. Questi i temi al centro del convegno dal titolo “La mimosa e il gelsomino. Le donne e il web nelle piazze del mondo arabo”, che si è tenuto presso il Rettorato dell’Università Roma Tre il 16 marzo scorso. Blog, newsletter, social networks (soprattutto Facebook e Twitter) sono divenuti i protagonisti della prima i-revolution come l’ha ribattezzata, tra le altre, la giornalista tunisina Sondès Ben Khalifa. Per la prima volta sembra che le donne del mondo arabo possano costituire un modello di forza e coraggio da imitare per numerosi paesi occidentali, sebbene occorra eliminare le stigmatizzazioni ed evitare gli esotismi, presenti nella stessa denominazione della rivoluzione, ‘la rivoluzione del gelsomino’. Tale appellativo non è stato infatti coniato dalle donne arabe, bensì dalla controparte occidentale.
Ad introdurre il convegno è stata Francesca Brezzi, presidente dell’Osservatorio interuniversitario sugli studi di genere, la quale ha messo in luce come l’orizzontalità della rete telematica possa promuovere un agire comunicativo più autenticamente democratico, sebbene ci sia il pericolo di perdere la dimensione fisica delle donne a causa dell’anonimato, che condurrebbe alla scomparsa della concretezza incarnata del soggetto femminile. Le donne arabe – ha continuato la Brezzi – hanno dimostrato di saper rappresentare una vera e propria identità di frontiera nelle diverse rivoluzioni nord-africane, facendosi portatrici di contenuti nuovi, anche nei confronti dell’Occidente.
Loredana Cornero, responsabile della relazioni internazionali della Rai e presidente della Commissione Donne COPEAM, ha rimarcato la scarsa conoscenza da parte delle donne occidentali delle donne della sponda sud del Mediterraneo. Queste ultime, però, soprattutto in questo periodo, hanno visto aumentare la propria visibilità mediatica grazie all’utilizzo attivo di Facebook come forum di vivace ed accesa discussione. Non privilegiato in quanto puro strumento di intrattenimento e di svago, i social networks sono divenuti supporti essenziali per fare rete e per trattare di temi politici, rappresentando un contraltare e un aiuto fondamentale alle piazze, che, nel mondo arabo, sono ritornate ad essere effettivi luoghi di confronto, di apprendimento e di scambio di valori democratici.
Le donne arabe possono costituire anche autentici volani di cultura e di formazione, come ha messo in evidenza Francesca Maria Corrao, professoressa ordinaria di lingua e cultura araba all’Università Luiss, che ha discusso delle molteplici forme di comunicazione ed educazione anche multimediale messe in campo da importanti figure femminili nel mondo arabo. Per esempio sono state create delle case editrici, che sono implementate anche online, per agevolare la pubblicazione di libri scritti da autrici arabe. Oppure vengono create e sono già nate numerose associazioni finalizzate alla formazione di donne in modo tale che esse possano vendere i prodotti da loro realizzati (soprattutto artigianato ma non solo) anche per via telematica. Di conseguenza, l’uso dei blog da parte di tali figure femminili non appare affatto strano se lo si confronta con un processo di emancipazione e di alfabetizzazione digitale che va avanti ormai da qualche decennio.
Per dimostrare l’importanza dei blogger egiziani nella rivoluzione iniziata il 25 gennaio scorso, la documentarista italo-siriana Carolina Popolani ha voluto realizzare un documentario, Cairo Downtown promosso dalla società Atabulo, nata nel 2009 per la produzione di reportages e documentari nell’area Euromediterranea. La Popolani, nel corso del suo intervento, ha mostrato tre estratti di interviste realizzate con donne egiziane provenienti da parti differenti del paese, le quali, pur nelle diversità culturali, politiche e religiose, hanno sostenuto l’importanza dei blog e dei social networks quali utili strumenti di condivisione delle idee, di partecipazione diretta alle lotte per la rivendicazione dei diritti essenziali dell’essere umano contro la dittatura vigente. Al contrario dell’Egitto, però, altri paesi nord-africani, in primo luogo la Libia, sono purtroppo rimasti assenti dal dibattito democratico sui new media. Anche qui, però, esistono realtà molto eterogenee: esiste, per esempio – ha continuato la Popolani – una zona, il Siwa, al confine con il deserto libico, in cui le donne, seppure costrette a rinunciare ad un’occupazione dopo il matrimonio, hanno introdotto innovative strategie di condivisione e di comunicazione. La necessità di conciliare tradizionale vita familiare e passione lavorativa ha condotto un gruppo di 20 donne ad implementare un corso di formazione e di alfabetizzazione informatica, finalizzato all’acquisizione di competenze nella creazione e gestione di siti web.
Ma non solo i social networks hanno favorito la rivoluzione digitale nei paesi arabi, anche le televisioni satellitari, comparse negli ultimi anni, hanno costituito un valido strumento per fornire un’informazione alternativa rispetto a quella fornita dalle televisioni pubbliche, come ha messo in luce Iman Sabbah, giornalista di Rainews. Si sarebbe passati, gradualmente, da un’informazione totalmente incentrata sul lavoro del governo e della classe dirigente dei vari paesi arabi a notizie che raccontano anche la realtà della popolazione. Al Jazeeira, ad esempio, fornendo una copertura informativa 24h24 in diretta, ha inaugurato un cambiamento nella costruzione delle scalette televisive, influenzando anche i canali governativi. In questo processo di emancipazione mediatica, un ruolo di inibizione sarebbe stato svolto dal post-11 settembre, che avrebbe gettato un’ombra, secondo la Sabbah, sulla popolazione araba, creando un muro impenetrabile tra occidente e mondo musulmano. Ma l’avvento dei social networks, e soprattutto il caro vita legato all’aumento sproporzionato dei prezzi dei beni di prima necessità, avrebbe favorito lo scoppio della rivoluzione, pubblicizzata e resa ancor più visibile dalla copertura fornita dai media occidentali e dalla presenza di inviati e di corrispondenti soprattutto arabi che hanno intervistato i partecipanti alle manifestazioni e hanno trasmesso direttamente ai canali americani – come la CNN- e inglesi, come la BBC. Nel corso di queste rivoluzioni, la stessa percezione della donna araba è stata profondamente modificata, e le donne hanno assunto una funzione fondamentale nello spazio pubblico e nelle questioni politiche dei propri paesi di appartenenza.
Un ruolo molto significativo è stato svolto anche dalle donne tunisine, come ha messo in evidenza Sondès Ben Khalifa, giornalista di Radio Tunisienne, che ha parlato della diversa condizione delle donne tunisine rispetto a quelle degli altri paesi arabi. L’acquisizione dal 1956 di diritti pari a quelli degli uomini, la presenza di un’istruzione pubblica gratuita fino alle scuole superiori, hanno consentito, o per lo meno, non inibito totalmente, la presa di consapevolezza della libertà di espressione alle donne tunisine, che, però, di fronte ad un regime politico notevolmente oppressivo, hanno deciso di scendere in piazza per contrastare l’integralismo e la violenza estrema, battendosi per un processo di emancipazione totale e di elezioni libere. La lotta per la libertà di espressione ha visto, anche qui, un preponderante uso delle tecnologie informatiche da parte delle donne, sebbene la rivoluzione tunisina si stesse preparando da anni, e si qualificasse con un stampo politico ed economico, proponendo una separazione tra stato e religione musulmana, unica garanzia contro la regressione nell’emancipazione umana – maschile e femminile.
Un’altra testimonianza riguardante la rivoluzione tunisina è stata portata da Feten Fradi, esponente della Comunità Tunisina a Roma e responsabile delle relazioni con il mondo arabo presso la COPEAM, la quale ha espresso la sua sorpresa e quella della comunità tunisina italiana di fronte alla rivoluzione, che lei ha definito ‘spontaneamente maturata dai giovani tunisini’, e motivata da una volontà delle donne di consolidare i diritti acquisiti precedentemente e di migliorare la loro posizione sociale, di fronte all’avanzata di partiti conservatori in seno al governo.
Interessante è stata anche la testimonianza di Yasemin Taskin, giornalista del quotidiano turco Sabah, che ha trattato della condizione delle donne turche, le quali, sebbene vivano in uno stato proclamato laico, non godano di una posizione di elevato potere all’interno di una società peraltro per il 99% musulmana. Inoltre, nonostante la grande attenzione in politica estera mostrata dalla Turchia nei confronti dei paesi vicini, il processo di inclusione del paese all’interno dell’UE ha conosciuto attualmente una fase di stallo. Quindi, ha aggiunto la Taskin, parlare di ‘modello turco’ come esempio da seguire per l’emancipazione degli altri paesi arabi è un po’ rischioso, data la profonda eterogeneità di tradizioni e di condizioni di vita esistenti.

Elisa Strozzi

1 commento:

  1. Interessante ed obiettivo, in particolare per lo studio della cultura digitale tunisina e per la capacità di sintesi, concisione e completezza. Ottimo insomma!

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