Cerca nel blog

domenica 10 aprile 2011

Simone Weil tra pacifismo e rivoluzione (di Monica Sanfilippo)

Figura eccezionale del Novecento, Simone Weil come un “angelo” laico vive profondamente la realtà del suo tempo, l’ingiustizia sociale, la battaglia al totalitarismo, la ricerca spirituale, la libertà.
Nata a Parigi all’inizio del secolo (1909) da una famiglia ebrea benestante morirà a soli trentaquattro anni in Inghilterra, ad Ashford nel Kent (1943), dopo aver lasciato la Francia a causa dell’invasione tedesca.
Eppure, in un arco così breve di vita, Simone è in grado di testimoniare alle generazioni future un messaggio straordinario di acutezza intellettuale e sensibilità mistica allo stesso tempo. Dapprima, alunna modello al liceo parigino Henri IV, assorbe lo spirito critico del professor Alain; poi, ella stessa, come docente, insegna filosofia nelle scuole della capitale, lavoro dal quale si congeda per entrare in fabbrica e nella realtà della classe operaia; in prima linea sul fronte popolare spagnolo allo scoppio della guerra civile, si dichiara intransigente pacifista contro l’avvento del nazismo e l’imminente minaccia della seconda guerra mondiale.
Solitaria nelle sue battaglie e fortemente determinata, la giovane donna scrive incessantemente la sua riflessione attorno a punti chiave del pensiero occidentale: la società e l’individuo, la guerra e la pace, le leggi e la libertà, la religione e la chiesa. Eppure il pensiero della Weil «non può essere oggetto di studio: troppo viva, troppo eternamente giovane e violenta per questo. […] E’ una forza catalizzatrice, una risorsa, una corrente di energia, che a un certo punto può attraversare la nostra vita e costringerci a certi interrogativi essenziali. […] E, da un tale incontro, non si esce indenni» (G. Fiori, Simone Weil. Una donna assoluta 1991).
Avviciniamo Simone grazie alla mole di articoli, saggi, lettere e Quaderni, molti dei quali pubblicati postumi come gli appunti ai Cahiers, in tre volumi, a cura del fratello André e della sua amica Simone Pètrement; un pensiero multiforme, ma coerente nella precisa consapevolezza di sperimentare prima di affermare.
Così circa il "lavoro" la Weil vuole innanzitutto conoscerne l’essenza, passando attraverso l’esperienza diretta della fabbrica e dell’alienazione che la macchina produce. «E non pensare – scrive all’amica Alberatine Thévenon – che (questo) abbia provocato in me movimenti di rivolta. No, al contrario ha provocato ciò che meno mi sarei aspettata da me – la docilità. Una docilità da bestia da soma rassegnata. Mi sembrava essere nata per aspettare, per ricevere, per eseguire ordini» (S. Weil, La condizione operaia 1952). La dignità degli uomini e delle donne nelle fabbriche, si convince Simone, è umiliata a tal punto che essi non sono più consapevoli dei diritti inalienabili. Per lo stesso motivo non sono in grado di rivendicarli né saprebbero cogliere appieno i frutti di una rivoluzione sociale: quest’ultima, pertanto, va preparata attraverso una missione volta al risveglio delle coscienze dal sonno del totalitarismo capitalistico.
La conversione al pacifismo, dapprima radicale di fronte al pericolo dell’ennesima “guerra di Troia” per l’Europa, vacilla sotto la prepotenza del nazifascismo che avanza indiscusso. «Dal giorno in cui, dopo una lunga lotta interiore, ho deciso in me stessa che, malgrado le mie inclinazioni pacifiste, il primo dei miei doveri diveniva ai miei occhi perseguire la distruzione di Hitler con o senza speranza di successo, da quel giorno non ho mai desistito; è stato il momento dell’entrata di Hitler a Praga…Forse ho assunto tale atteggiamento troppo tardi» (S. Weil, Scritti sulla guerra 2005).
E quando Parigi è dichiarata città aperta, la famiglia Weil è costretta a lasciare la Francia.
La sua crisi del pacifismo ha in realtà motivazioni più profonde legate ad un riesame della cultura occidentale, dell’idolatria dei concetti che vuole sostituire alla "vera" religione. Per questo non partecipare alla guerra, adesso ch’è già iniziata, significherebbe commettere un male superiore, poiché ciò che è richiesto è di combattere per un profondo rinnovamento spirituale.
La risposta ultima di Simone è, pertanto, religiosa, poiché Questa guerra – titola un suo saggio – è una guerra di religioni. Azione, religione e filosofia sono un unicum per la donna che si schiera contro il nazismo e che da Marsiglia è costretta a imbarcarsi prima per New York, poi per Londra.
Dagli anni della svolta mistica, quando nel ’38 recitando intensamente una poesia di George Hebert, Love, avverte l’incontro con Cristo – “è disceso e mi ha presa”, scrive – rivolge l’attenzione ai testi religiosi più importanti dell’umanità, dal Libro dei morti egiziano alle Upanishad, dalla Bibbia alla Bhagavadgita. Un’attenzione spirituale la cui verità è assoluta per Simone, una verità "altra" che ha bisogno di un’espressione “moderna e occidentale” per essere compresa e maturata.

Bibliografia
G. Fiori, Simone Weil. Una donna assoluta, La Tartaruga, Milano 1991-2009

S. Weil, Sulla guerra. Scritti 1933-1953, Net, Milano 2005
F. Restaino, S. Weil: impegno e ascesi, in «Storia della filosofia» di N. Abbagnano, vol. IV, La filosofia contemporanea, tomo II, Utet, Torino 1994, pp. 50-62

http://spazisonori.splinder.com/tag/simone+weil

Nessun commento:

Posta un commento