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domenica 15 luglio 2012

Decrescita e distacco dalla società del benessere

L'intervista a Serge Latouche sull'importanza del concetto di decrescita  http://tysm.org/?p=7984 mi sembra molto penetrante, perché tocca alcuni aspetti centrali della società contemporanea, fondata, nonostante le frequenti crisi economiche succedutesi, sull'onnipotenza dell'oggetto consumato e della merce come forma di scambio globale. L'umanità si è perso come valore fondamentale, perché le persone vivono in un mondo di oggetti, e, come sottolinea Latouche, le strategie di marketing e pubblicità sfruttano (e creano) forme di insoddisfazione variegate negli individui in modo da indurle a credere che potranno godere di piccoli piaceri acquistando alcuni prodotti alla moda o fruendo di servizi già preordinati e prefissati secondo logiche precise. La possibilità di scelta della persona è però sempre presente, ma bisogna allontanarsi da un concetto di mercificazione dilagante che elimina i valori di rispetto, dignità umana e autenticità nelle relazioni interpersonali. 
"La via delle decrescita è per l’appunto un’etica ha nel dono il proprio fondamento. Ivan Illich parlava della necessità di praticare un «tecnodigiuno». Non perché computer, tablet, telefonini e tutti gli aggeggi elettronici che ci circondano e ci facilitano la vita non siano in sé utili o belli. A volte ce la complicano, a volte no. Anche qui, però, dobbiamo però mettere un limite a tutto, anche al nostro desiderio di onnipotenza tecnologica. Per dimostrare che siamo capaci di rinunciare. Dovremmo praticare una sorta di ascesi, un’etica frugale, di semplicità. Un tecnodigiuno etico, per ritrovare le nostre radici". Il ritrovare le proprie radici dovrebbe costituire una tendenza essenziale di ogni individuo, che dovrebbe mirare a recuperare un contatto autentico con l'altro e con l'ambiente che lo circonda, evitando il più possibile forme artificiali di mediazione di cui spesso si abusa. 
"Persone dotate di una vera autonomia non temono la vita in comune. Al tempo stesso, una vera comunità non può ostacolare l’autonomia dei suoi membri."
Questa esigenza di combinare l'esigenza di una reale comunità spirituale e morale con l'autonomia e l'autocoscienza individuale costituisce, a mio parere, uno dei pilastri per rifondare il mondo occidentale in cui viviamo, in cui la falsità e l'ipocrisia sono all'ordine del giorno e non esiste né una vera comunità né plurime persone animate da spirito critico e intraprendente. Esiste la presunta libertà del singolo, che però non può trovare piena espressione se non è supportata da un tessuto sociale che condivide le proprie necessità e i punti di riferimento etici.

sabato 7 luglio 2012

Nei sogni...

Qualche volta sogno di svegliarmi e di vivere in un mondo totalmente diverso da quello reale. Amicizia, solidarietà, rispetto reciproco, onestà, amore dovrebbero governare il mondo. Tutto ciò, anche se molte persone dissentirebbero, sarebbe positivo per ogni individuo e per la collettività ancor di più. Non ci sarebbe bisogno di leggi, di polizia, di tribunali, di carceri e di tutte quelle strutture sociali incaricare di far rispettare l'ordine, che poi si traduce nell'imporre comportamenti standard ad un popolo che non li comprende e che li adotta solo esteriormente (quando lo fa) perché è costretto, altrimenti sarebbe punito in qualche modo. La verità è che gli individui non riconoscono le vere fonti della felicità per loro stessi in primo luogo. Infatti credono che immergersi in un mondo di oggetti e di false credenze sia l'unica soluzione alla loro disperata necessità di essere riconosciuti umani, di valere qualche cosa. Mentre invece si verifica il contrario: più l'individuo è abituato a stare a contatto con altri in un mondo di oggetti, più si trasforma in essi, quasi per influenza di questi ultimi. E' paradossale ma mi sembra proprio così. La soggettività è una qualità che va costruita nella persona, non è né innata né naturale, bensì il prodotto di una civilizzazione interiore che però non ha niente o poco a che fare con l'assorbimento di parametri culturali e sociali propri del mondo in cui siamo immersi. E' una ricerca, un processo costante di esplorazione interiore ed esteriore molto lungo e complesso, in cui la persona DEVE sperimentare ciò che è veramente valido e buono per se stessa. Ciò non implica il mancato rispetto nei confronti dell'altro né tanto meno nei confronti della natura, così tanto contaminata dall'influsso umano da divenire a sua immagine e somiglianza in alcuni casi. La bellezza e la perfezione direi di alcuni ambienti naturali poco frequentati dall'uomo dovrebbe insegnarci ciò che bisogna perseguire nel corso della nostra esistenza. Lo specchio dell'esistenza umana non deve essere costituito dagli oggetti con cui si relaziona (non so se sia il termine appropriato) giorno dopo giorno, bensì da un mondo già creato, un mondo naturale che può insegnarci le sue meraviglie così autentiche e pure...L'essenza della realtà, la sua verità: ecco ciò che l'uomo dovrebbe cercare nei suoi peregrinaggi. E tutto ciò che lo distoglie dal perseguire tale meta deve essere abbattuto o evitato, perché più si accettano passivamente determinate abitudini sociali più se ne diventa totalmente schiavi. La persona deve essere padrona della propria esistenza e responsabile di ciò che compie. Per sapere ciò che è giusto o sbagliato, l'individuo deve compiere dure riflessioni, basata sul suo bagaglio culturale, sullo sviluppo etico che ha maturato nel corso degli anni, e sulle proprie esperienze.

venerdì 6 luglio 2012

La mia impressione sulla realtà che ci circonda

L'oggettivizzazione in cui siamo immersi è assurdamente dilagante. L'uomo vive talmente immerso in un orizzonte di cose e merci che ha perso il contatto intimo con se stesso, con la natura e con le persone che lo circondano. Il considerare l'essere umano come un soggetto libero e capace di scegliere e agire per il suo bene è poco diffuso, ed è l'ambiente socio-culturale in cui la persona è inserita a condizionarla mentalmente ed eticamente. Cultura ed etica vanno di pari passo, in quanto solo un approccio autentico e globale al reale consente alla persona di comprendere e rispettare ciò e chi ha attorno a sé. L'incomprensione reciproca, favorita nella società attuale da barriere linguistiche, culturali e geografiche notevoli, conduce alla violenza che non è esclusivamente fisica, ma è soprattutto psicologica.

La mente dell'uomo, nel corso del suo sviluppo, si forma grazie all'influenza di vari fattori, in primo luogo il contesto socio-culturale in cui vive fin dall'infanzia, le abitudini di pensiero e azione diffuse nel mondo umano che lo circonda e la sua personale attitudine nei confronti della realtà. Esistono alcune persone che hanno radicato dentro di sé la volontà di annullare le proprie capacità di raziocinio e di analisi critica della realtà esterna, e in questo obiettivo (inconscio prima e consapevole più tardi) viene perseguito e rafforzato dai meccanismi abitudinari in atto nella società nel suo complesso. E' pur vero che esistono diverse tipologie di società, con gradi diversi di spinta al conformismo. Il conformismo non deve essere inteso solo come adesione ai comportamenti collettivi, ma soprattutto in quanto sviluppo di un'identità che si costruisce sulle opinioni, i punti di vista e le credenze (più o meno positive) dettate da altre persone. Questi elementi costituenti l'identità personale vengono poi combinati per dare luogo ad una personalità che ha tutto fuorché l'autenticità e l'unicità. Molte persone hanno paura di scoprire orizzonti mentali nuovi, tracciati esclusivamente dalla loro creatività e originalità, ma credono che percorrere il sentiero già battuto sia indice di grande intelligenza e capacità adattativa.

Ma io credo che l'indice di adattamento di un essere umano alla società in cui vive sia inversamente proporzionalmente al grado di riflessione autonoma e di azione effettivamente indipendente maturata dal soggetto. L'adattamento è un concetto detestabile secondo me perché è richiesto - direttamente o indirettamente - dal 99% delle persone che incontriamo nella nostra vita e ci impedisce di mantenere la nostra unicità, con i suoi aspetti positivi o negativi. Ciò non significa che la persona debba essere immutabile nel corso della sua vita - il che sarebbe un forte controsenso già di per sé - anzi occorre cambiare, in realtà non è neppure un must, è semplicemente un'esigenza naturale che però implica una sana e matura riflessione sul perché, sul come e sul quando modificare la propria personalità e il proprio approccio alla realtà. La realtà è davvero un caleidoscopio abbastanza inestricabile, ma esistono alcuni momenti in cui la persona può veramente entrare in contatto con i recessi interiori di se stesso e dell'altro, comprendersi e comprendere l'altra persona pienamente, come se avesse recuperato quella profondità di pensiero e quella umanità che non sembrava più pensare di possedere. Tale processo, se così vogliamo chiamarlo, si può però verificare solo in assenza di tutti quei residui materialistici e oggettivisti che vigono come leggi inviolabili nella società consumistica che siamo costretti a vivere ogni giorno.

lunedì 2 maggio 2011

LE DONNE DI CARTA PRESENTANO CARTA DEI DIRITTI DELLA LETTURA

Giovedì 28 Aprile si è tenuto presso il Bibliocaffé Letterario di Roma un incontro dedicato alla presentazione della Carta dei diritti della Lettura da parte dell’Associazione di editori, librai e lettori Donne di Carta con una successiva parte dedicata alla Maratona delle cosiddette Persone Libro.

Le ‘persone libro’ di Donne di Carta rappresentano un gruppo di donne e uomini che si spostano in molteplici città italiane leggendo ovunque, nelle librerie, ma anche in luoghi apparentemente meno legati alla cultura, quali vivai, birrerie, sartorie, piazze, ecc. Il loro obiettivo è quello di difendere il diritto alla lettura e la bibliodiversità. Hanno già ottenuto una medaglia di rappresentanza dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per l’attività di promozione della lettura e si stanno organizzando per presentare al Parlamento Europeo una Carta di diritti, che parte da un rinnovato concetto di analfabetismo.

“Nel mondo attuale, globalizzato e multietnico, muta il concetto stesso di analfabetismo: è analfabeta chi è carente degli strumenti di base: leggere, scrivere e far di conto ma anche chi soffre di ristrettezza e/o di mancanza di relazioni sociali, di stimoli culturali più ampi, di mobilità fisica e mentale, di mezzi di comunicazione diversificati. È analfabeta chi non ha stimoli né strumenti per valutare la bellezza di un’opera d’arte e del quartiere in cui abita. È analfabeta chi dimentica la propria lingua familiare – e il repertorio condiviso di esperienze che sono addensate in quella lingua e che costruiscono il senso di appartenenza a una comunità – e chi non costruisce altre competenze linguistiche per comunicare e per creare altri legami sociali.”

Per continuare la lettura, http://www.deltanews.net/cultura-le-donne-di-carta-presentano-la-carta-dei-diritti-della-lettura-4711287.html.

mercoledì 13 aprile 2011

INTERNATIONAL JOURNALISM FESTIVAL

Presentazione ITalents! L’Italia non sarà più come prima
Presentazione ufficiale alla stampa e al pubblico di ITalents, la prima associazione nata per connettere e promuovere i migliori talenti italiani, ovunque vivano nel mondo. ITalents si configura come un “creative energy accelerator”, per passare “dalla fuga alla circolazione dei talenti”, e   consentire loro di  contribuire -con idee e competenze- al rinnovamento e alla crescita del nostro Paese nella società globale. Italents nasce proprio nell’anno in cui si festeggia il 150° anniversario dell’Unità, con l’ambizione di contribuire a costruire un’Italia Diffusa, dove conta più la rete che i confini, aperta al cambiamento continuo.
Roberto Bonzio giornalista Reuters e fondatore Italiani di Frontiera
Alessandro Rosina Università Cattolica di Milano
Eleonora Voltolina
fondatrice repubblicadeglistagisti.it
Nella totale incapacità del Paese di valorizzare i talenti e investire sui giovani nasce il Manifesto degli espatriati, per rendere l’Italia un paese per giovani. Un Manifesto di denuncia di tutto ciò che in Italia non funziona, impedendo ai giovani di emergere: dai processi selettivi carenti alla gerontocrazia e raccomandazione imperanti, dal Welfare State inesistente per i giovani al ricambio generazionale mancato. Il “Manifesto” mette nero su bianco le cause dell’espatrio di centinaia di migliaia di giovani italiani. Brillanti, ma senza gli “agganci” giusti.
Marco Alfieri La Stampa
Claudia Cucchiarato
freelance L’UnitàLa Repubblica
Stephan Faris Time Magazine
Stefano Feltri Il Fatto Quotidiano
Sergio Nava Radio 24
Claudio Riccio Link

domenica 10 aprile 2011

Diversità sessuali: il-tema discusso a Roma in un convegno sulle discriminazioni

(Roma) “Discriminazioni: modelli culturali, retoriche pubbliche e pratiche sociali”, questo il titolo del convegno internazionale che si è tenuto dal 6 al 9 aprile a Roma presso l’Università La Sapienza e Roma Tre, organizzato dall’Aisea, Associazione Nazionale degli Antropologi socio-culturali, in collaborazione con l’Osservatorio sul Razzismo e le diversità “M. G. Favara”, sotto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica. L’obiettivo fondamentale del convegno è consistito nell’esaminare l’articolata fenomenologia delle discriminazioni, avvalendosi di numerosi contributi di ricercatori e specialisti, i quali hanno voluto “fornire elementi di confronto tra il discorso pubblico e la riflessione antropologica ed offrire così un contributo scientificamente fondato per la creazione di nuovi scenari di convivenza e rispetto reciproco”.
La sessione dedicata ai “Generi Discrimina(n)ti”, in particolare, si è svolta presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre, e ha ospitato numerosi antropologi. In primo luogo Luca Trappolin, dell’Università di Padova, che ha esposto il progetto Citizens in Diversity: A Four-Nation Study on Homophobia and Fundamental Rights (www.citidive.eu), finanziato ingentemente dal Fundamental Rights and Citizenship Programme dell’Unione Europea per il periodo Gennaio 2010 – Giugno 2011, il quale, diretto dal Dipartimento di Sociologia dell’Università di Padova, vede la collaborazione di equipe di sociologi e giuristi italiani, inglesi, sloveni e ungheresi. In particolare, in ambito italiano, il team sociologico ha svolto una serie di interviste individuali e collettive a donne e uomini giovani di diversi orientamenti sessuali al fine di definire in maniera più corretta possibile i concetti di omofobia, di esperienza quotidiana della violenza in ambito pubblico e privato e della discriminazione ai danni di persone omosessuali.
Lo scopo fondamentale del gruppo di ricerca consiste nel discutere sul rapporto di divergenza tra le narrazioni su alcune tematiche da parte di eterosessuali e omosessuali, alla luce del recente progetto lanciato da Arcigay e promosso anche dall’Istat, dal titolo “Lotta all’omofobia e promozione della non discriminazione sui luoghi di lavoro come strumento di inclusione sociale”. Trappolin ha sottolineato come occorra ridefinire ed incrementare la complessità del concetto di rappresentazione omofobica, che, sebbene nei paesi anglosassoni sia già entrato nell’uso comune, in Italia fatica ad essere accettato. Poiché determinati sistemi di rappresentazione e di conoscenza alla base delle pratiche discriminanti sarebbero alla base degli atti di violenza, è fondamentale – ha continuato l’antropologo – concettualizzare l’omofobia come “espressione di una sofferenza e di una violazione espressa da uomini e donne la cui identità di genere è stata forgiata come quella di una minoranza di genere socialmente costruita”. Quindi il contrasto alla violenza contro gay e lesbiche dovrebbe originare da un’adeguata consapevolezza dei suoi meccanismi, in particolare delle diverse categorie di violenza, che vanno da quella percepita, a quella narrata, a quella riconoscibile come tale dalle persone eterosessuali fino a giungere alla violenza simbolica, che costituisce un’inconsapevole riproduzione delle pratiche di violenza psicologica e verbale promosse da parte degli omosessuali e degli eterosessuali. Le interviste svolte hanno il compito di migliorare l’accesso conoscitivo ad una serie di spazi pubblici e privati e ad un complesso di esperienze vissute in prima persona dai soggetti di indagine.
Michela Fusaschi, antropologa della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre, ha esposto il progetto “Il corpo delle altre. Vocabolari della discriminazione e retoriche dell’umanitario”, il quale si propone di riflettere sull’aspetto politico degli interventi umanitari portati avanti recentemente sul corpo delle donne, al fine di discutere il tipo di biolegittimità assunto dai corpi femminili nella vita quotidiana. A tal fine, l’antropologia pubblica si occupa di congiungere le questioni del locale e del globale, per contrastare la visione riduzionista del mondo dei diritti umanitari così come le politiche di genere mainstreaming, che insistono sulla visione subalterna della figura femminile. In Italia, in particolare, sarebbe cambiata negli ultimi anni la concezione del corpo della donna, tramite un’incorporazione dell’immagine sessista maschile del potere da parte delle donne, mentre la modificata percezione della vittima avrebbe provocato la diffusione di un’economia morale di profonda disuguaglianza e reificazione, impedendo lo sviluppo di una figura femminile (e non solo) pienamente cosciente e libera delle proprie azioni e scelte.
Massimiliano Casali, dello Sportello Unico per l’immigrazione, ha trattato della pluralità delle esperienze familiari concrete, che escludono la presenza di un unico modello familiare come socialmente e culturalmente legittimo, mentre permettono di comprendere come la famiglia sia un istituto necessariamente aperto alle differenti trasformazioni sociali e culturali e debba divenire un luogo di affermazione personale invece che di costrizione morale. Da un lato, il recente affrancamento da norme religiose che si è verificato in ambito privato, e dall’altro, la scissione del legame tra famiglia e procreazione, hanno condotto ad una maggiore accettazione dell’omosessualità, anche in ambito pubblico. Al fine di abbattere tutta una serie di barriere comportamentali che impediscono il dialogo tra ‘mondo omosessuale ed eterosessuale’, occorrerebbe – ha continuato Casali – l’estensione della tutela del diritto sulla personalità a quello delle relazioni interpersonali, al fine inoltre di facilitare la trasformazione della genitorialità e dell’intimità in processi riflessivi, modellati sulle scelte responsabili degli individui.
Teresa Biondi, antropologa cinematografica dell’Università di Modena, ha sottolineato il ruolo dell’antropologia filmica nella rappresentazione di dinamiche culturali discriminatorie dal punto di vista dell’identità di genere e sessuale e nella promozione di identità libere e pienamente autonome. In particolare, la studiosa si è soffermata sulla capacità del regista Visconti nell’utilizzare il mezzo filmico per promuovere una cultura dell’emancipazione dalle gabbie sessiste e dogmatiche, al fine di rappresentare realmente come le persone vivono la propria identità sessuale, all’interno di un contesto socio-culturale, quello dell’Italia anni ’50 e ’60, in cui tali tematiche erano molto difficili da affrontare. E’ stata proprio la narrazione della sofferenza e la messa in scena della violenza simbolica il nodo centrale della cinematografia viscontiana, la quale si è trasformata progressivamente in una modalità di racconto di valori umani autentici, che travalicano le differenze sessuali o di genere, abbattendo le stigmatizzazioni e i pregiudizi di una tradizione essenzialmente proibizionista.
L’ultimo intervento, di Mario Pesce, dottorando presso l’Università Roma Tre, si è concentrato attorno agli studi da lui effettuati sui trans sudamericani, specialmente di quelli migrati in Italia, dai quali è nato un documentario ‘Translatina’, riguardante i sogni e le delusioni vissuti dalle ‘immigrate’ latino-americane nel nostro paese. Pesce ha messo in luce come l’assolutizzazione delle differenze di genere uomo/donna deve essere decostruita, al fine di comprendere come l’identità rappresenti una cocostruzione superabile nella vita individuale. A tal proposito, egli ha individuato nell’identità sessuale un elemento stabilito per la persona sin dalla nascita e fissato dai cd ‘normali’. La diversità sessuale si tradurrebbe in un’incapacità di comprensione e di dialogo tra le differenze, e quindi ad una chiusura e marginalizzazione costante del ‘diverso’, considerato potenziale produttore di conflitti sociali in quanto non appartenente ad un genere ben definito e quindi difficile da classificare. Nei trans migranti vi sarebbero poi, due livelli di discriminazione, legati, da un lato, alla labile identità sessuale, e dall’altro, alla condizione di migrante, quindi di non appartenente a nessun luogo.
http://www.deltanews.net/diritti-diversita’-sessuali-il-tema-discusso-a-roma-in-un-convegno-sulle-discriminazioni-4710933.html